Strumenti ibridi per valutazioni ROI
Nell’era dell’incertezza il senso conta di più
Lo scenario di incertezza generale che ci affligge da ormai dieci anni richiede a chi sta per affrontare nuovi progetti di usare con cautela gli strumenti convenzionali per la valutazione previsionale di ritorno dell’investimento o dell’innovazione. Da un lato lo scenario di depressione dei volumi conduce a stime pessimistiche, e dunque tendenzialmente a falsare e penalizzare una gran parte delle opzioni, dall’altra sono mutate le condizioni di disponibilità dei capitali e sono ovviamente mutati in modo non ancora interpretabili i criteri decisionali dei consumatori.
A quali comportamenti devono ricorrere imprenditori o manager nel processo decisionale, per sfuggire alla mancanza di supporto alle decisioni in risposta ai primi esiti delle simulazioni?
Si possono considerare alcune reazioni decisionali:
Atteggiamento prudenziale positivo: crediamo nel progetto, tuttavia, consci dei rischi, riduciamo l’investimento iniziale suddividendolo in due fasi, lo avviamo con costi più alti del prodotto, volumi inferiori, cash flow assoluto inferiore.
Atteggiamento spavaldo: crediamo nel progetto e non ci facciamo influenzare dalla matematica finanziaria, proseguiamo affrontando il rischio di insuccesso perché riteniamo che la speranza di pieno successo ci darà di più del modello.
Atteggiamento prudenziale negativo: la simulazione con il suo risultato dubbio o negativo conferma alcune incertezze sottostanti e ci convince a non lanciare il progetto ora ma a posticiparlo, magari con una revisione del progetto stesso e un supplemento di cura dimagrante sulle sue determinanti economiche: meno investimento, meno costi, diversa politica di prezzo, etc.
Atteggiamento prudenziale conservativo: crediamo nel progetto ma non riteniamo che date le circostanze valga la pena di finanziare altra capacità produttiva. Dunque ci orientiamo a condividere le sorti del progetto e il ritorno di cassa con un partner di capacità produttiva, insieme al quale ottimizzeremo il ritorno abbassando il valore iniziale dell’esborso e accettando una curva di rientro meno rapida.
Sono giustificati questi comportamenti o bisogna forse soppesare altre variabili e ricorrere ad analisi non convenzionali? Non si ritrova forse anche in questi casi la tendenza, non del tutto giustificata o giustificata prevalentemente solo in termini di psicologia dell’investitore, all’autolimitazione o rinuncia degli investimenti, malattia di molti sistemi economici maturi come quello italiano?
Soffermiamoci a indagare più da vicino gli effetti dei mutamenti incorsi nel quadro generale prendendo a riferimento uno dei parametri più in uso nella valutazione dei progetti, il NPV Net Present Value, che definisce il valore cumulato del flusso di cassa, assunto al termine della durata attesa del progetto, scontato con un tasso di interesse sul capitale pari alla remunerazione media dei possibili impieghi nel mix attuale delle opzioni nel mercato.
In esso le variabili più significative sono: l’investimento in capitale iniziale, il volume di vendita realizzabile dal prodotto/progetto, il tasso di sconto per il Discounted Cash Flow (DCF).
Ebbene, per molte categorie di prodotto e di beni durevoli, in termini strutturali generali, le valutazioni di oggi rispetto a quelle in campo dieci anni fa sono influenzate sostanzialmente in senso negativo dal minor volume del –20%, in senso positivo dal capitale investito iniziale ca –10%, ancora in senso positivo da tassi di sconto sul DCF inferiori almeno del 5%.
Dunque, non tutte le variabili strutturali si sono volte al peggio. Piuttosto è ancora il volume, e non può essere una grande sorpresa, a giocare il ruolo chiave, soprattutto per la sua contrazione e l’incerta determinazione prospettiva, per il giudizio di successo dell’investimento.
Ciò porta a indicare una strada di analisi, intuitiva ma non meno impervia, lungo la quale sia data più attenzione alla significatività prospettica “numerica” delle vendite .
Non che si possa chiedere ai volumi di essere “migliori” nel senso di più grandi: dovremo invece arrivare a persuaderci, o viceversa a non convincerci, che l’analisi ci avrà fatto intercettare quelle variabili “non quantitative” che rendono i numeri “migliori” in chiave di significato, di contenuto informativo, di risvolti inerenti le decisioni di consumo.
È opportuno riflettere sul fatto che consumatori e mercato non hanno abbandonato tutto d’un tratto i sani principi per la valutazione di un prodotto/servizio. Probabilmente i comportamenti psicologici sono più variegati, lo scetticismo e la prudenza si sono diffusi, ma nello stesso tempo la curiosità e la valutazione istintiva-intuitiva, la voglia di dare ascolto al proprio ego e alle proprie convinzioni hanno un peso ancora più rilevante.
Dunque se si può assumere in modo semplificato che ai tempi pre-crisi la domanda avesse una dinamica alimentata da una composizione di fattori rappresentabili nelle quattro categorie funzionali, economico-razionali, psicologici, irrazionali ora si dovrebbe concedere che all’interno di quelle quattro categorie i pesi relativi si siano modificati in maniera significativa. E come? A sfavore di quale?
È certamente azzardato dare risposte “facili” e “logiche” e deduttive sui generis. Per questo crediamo che ogni nuovo lancio di prodotto vada sostenuto di più da analisi specifiche di comportamento del consumatore, oggi rese meno onerose grazie alla disponibilità di strumenti digitali snelli e alla diffusione di tecniche analitiche di marketing.
Per facilitare tale percorso di analisi si può iniziare a porre delle ipotesi su cinque direttrici quali:
- C’è e qual è la sintonia con i trend ispiranti? (sostenibilità, responsabilità, circolarità)
- C’è e qual è il richiamo al bagaglio valoriale del consumatore? (made in, tradizione, etc.)
- Ci sono e quali sono gli ingredienti per soddisfare il suo ego, l’individualismo, lo status?
- Ci sono contenuti convincenti inerenti la customer experience?
- Ci sono tratti di originalità, unicità, attrattività, magnetismo per ampliarne il suo interesse?
Specifico per ogni categoria di prodotto è il grado di rilevanza di ciascuna delle cinque direttrici: passando da un prodotto di moda a un elettrodomestico a una macchina agricola sono ovviamente preponderanti alcune direttrici rispetto ad altre.
Una volta stabilito per convenzione, per settore e categoria, il peso relativo di ogni direttrice si può “granulare” ciascuna di esse in più variabili di significato, per esempio in cinque o in dieci.
Infine si può svolgere con un panel di potenziali clienti o un panel neutro la ricerca di merito del prodotto rispetto a quelle variabili (5×5, 5×10) .
La risposta aggregata genererà così un parametro qualitativo di merito che può essere usato in modo complementare all’analisi quantitativa.
Un fattore di merito spostato verso l’alto potrà consigliare che i volumi di vendita pre-ipotizzati sulla base prestazionale-posizionamento si possono confermare e considerare altamente probabili. Un fattore di merito carente o spostato verso il basso suggerirà che la previsione di vendita nasconde delle insidie e che pertanto è opportuno inserire dei coefficienti correttivi adeguati.
La ripetizione della valutazione non quantitativa su più progetti porterà l’imprenditore e il management dell’azienda ad affinare le valutazioni previsionali e soprattutto a dedurre significatività nell’analisi a posteriori del comportamento reale di vendita.